martedì 26 maggio 2015

Non l'ho mai capito

8 anni fa morivi. Ed iniziavo a vivere io. Non esisteva un'altra possibilità.
Cirrosi. Ci hanno messo chissà quanti anni a scoprirla, e quando finalmente ci sono arrivati a capire di che si trattava non c'era più nulla da fare.
Non ho mai smesso di odiarti, non smetterò mai. Ti sogno spesso. E' un incubo, perché non ti rivorrei mai in vita.
E se tu fossi stato un persona priva di valore, forse avrei capito qualcosa di più. E invece non t'ho mai capito.
Se tu fossi stato uno stupido avrei capito come mai hai scelto un lavoro che non ti piaceva, ma che ti impegnava poco. E ci sei stato il minimo possibile. Ma ti sarai mai reso conto che avresti potuto realizzarti? Che con la tua istruzione, la tua intelligenza, la tua cultura, che spaziava dal ragionare in latino al riconoscere le stratificazioni della roccia a colpo d'occhio, dalla matematica alle lingue, al saper suonare, almeno un po', tanti strumenti, a tutto ciò che hai inventato, o progettato, avresti potuto sceglierti una carriera brillante in qualche settore?
Se tu fossi stato un sadico avrei capito tutte le botte prese. No, al contrario. Ti conoscevano come una persona di una grande bontà, che ha servito gli altri in più occasioni. E che mi ha insegnato per primo a farlo.

Ma tu avevi capito anche una cosa. Che la paternità non era la tua vocazione. E l'avevi detto che non volevi figli. Non sei stato capace, però di essere coerente. Gli altri non accettavano che si potesse desiderare un matrimonio sterile. E tu hai ceduto alle pressioni, hai fatto quello che gli altri si aspettavano da te. E hai fatto male. E di figli ne hai fatti quattro. Una responsabilità che ti pesava troppo, che non hai mai saputo gestire. Hai scelto un'educazione impositiva, tutto era proibito, tutto troppo pericoloso, tutto faceva male, c'era sempre un problema per tutto. Dalla bicicletta al chewing-gum, dal gel per capelli ai cartoni coi robot, alla comunione... Tutto proibito. Come si fa a tentare di avere una vita normale quando si comincia così? Mi ci sono voluti tanti anni. M'avessi almeno lasciato in pace da grande. No, sei stato sempre un ostacolo in tutto, pure nel lavoro.

E non era giusto che tu rinfacciassi continuamente a me che figli non ne volevi. Da grande ho capito che te la stavi prendendo con te stesso per non aver mantenuto i tuoi propositi, ma allora mi hai fatto sentire di troppo. Non una, tante volte.
Non l'ho mai capito come hai fatto a scegliere una persona così falsa e a sposarla. Ha tirato fuori il peggio di te e solo quando vi siete separati hai cominciato a migliorare. Troppo tardi. E non sei sopravvissuto alla separazione. Anzi, quando hai saputo di avere la cirrosi, quando hai visto che ti si presentava l'occasione di morire, l'hai presa al volo. Non bevevi, hai cominciato a farlo, per morire prima.

Solo quando ti hanno seppellito mi sono reso conto che di tutto il tuo talento, che forse avresti potuto mettere un giorno a frutto, non ne hai fatto mai nulla. Solo allora ho capito quanto si possa sprecare la vita. E da allora sto cercando di non fare lo stesso.

Perché hai scelto di rovinare la tua vita, e la mia, non l'ho mai capito.
Non ti perdono, non te lo meriti.
Tu non ci hai mai creduto a un Dio, né a una vita dopo la morte. Io sì. E vorrei solo che come pena ti sia stato dato di capire il male che hai fatto.
Perché quello non l'hai mai capito nemmeno tu.

25/7/1943 - 26/5/2007 - 63 anni.

domenica 17 maggio 2015

Il grembiule


Ieri sera ho stirato, per l'ultima volta, i tuoi grembiulini dell'asilo. Ma solo per metterli via.
Ora fa caldo e le maestre hanno detto che, per il mese che resta di scuola, possono andare senza.
E questo è l'ultimo anno di asilo. 

Com'eri piccola la prima volta che l'hai messo. E che groppo alla gola che mi hai dato quando ti ho vista così, cominciare la tua avventura. Per la prima volta andavi a scuola.

"Com'è grande!" ci siamo detti io e la tua mamma. Lei che ti ha amorevolmente ricamato a punto croce una per una le otto lettere del tuo nome, su tutti i grembiuli che hai avuto. Che te li ha lavati ogni santo giorno perché ogni volta sei tornata a casa conciata per le feste dopo una giornata di giochi e la mensa scolastica.
Lei che ti ha accompagnato tutti i giorni e continua a farlo, che viene a prenderti ogni pomeriggio, che sa tutto di quello che fai, che parla tanto con le maestre. Tanto da lasciarmi sempre tranquillo, sapendo che nostra figlia è in buone mani.

Sono passati già tre anni da quel "non c'è bimbi?" esclamato il primo giorno. Abbiamo voluto accompagnarti insieme, era molto presto ed eri la prima. Così hai chiesto alla maestra di capire perché non c'erano ancora gli altri.
Chissà come avresti reagito. Ti avevamo spiegato di cosa si trattava ed eri entusiasta. Mezz'ora dopo hai detto alla mamma "Mamma, va via". Finito l'inserimento. Lì ci stavi bene e ci sei stata bene ogni giorno. Con tutti gli alti e bassi e tutte le piccole cose che possono capitare ogni giorno.

Potevamo lasciarti lì tutto il giorno dal primo momento. Ma abbiamo voluto fare le cose un po' per volta, senza forzare. E così sei stata tra i pochi che stavano lì solo la mattina. Dopo un po' abbiamo cercato di capire se volevi rimanere anche a mangiare e te l'abbiamo chiesto. Perché non avevamo la necessità di importelo ed abbiamo potuto lasciarti scegliere, ma non è facile farsi capire a tre anni. E tu hai messo attorno a un tavolino giocattolo dei pupazzetti. "Questa sono io, questa è la maestra, questo è T, questa è N..."
Ok, abbiamo capito. E sei rimasta a mangiare a scuola. E poi anche il pomeriggio.

Quando poi l'estate non volevi rassegnarti al fatto che la scuola era chiusa, e ci hai detto "andiamo a scuola, per favore", ci siamo chiesti "ma da chi hai preso, figlia? Chi c'è mai voluto andare a scuola?"

E ora sei cresciuta, l'anno prossimo comincia la scuola elementare. Un passaggio "morbido", nello stesso edificio, con gli stessi compagni. Tutto il resto cambierà e ti spaventa un po'. Ma scoprirai che, volenterosa come sei, ti piacerà. E faremo di tutto perché sia così.

Il tempo è passato. Per tutti. La tua maestra, che ti ha accompagnato con tanto amore per questi tre anni, andrà in pensione, con la grande soddisfazione di aver avuto come ultima classe un gruppo bellissimo di cui ha cantato lodi, insieme alle altre, per tutto questo tempo.

Ci saranno altre scuole, altri maestri, altri grembiuli. Ma il primo non si scorda mai.

venerdì 15 maggio 2015

Solo in Toscana

Sulle piante di limoni un cartello con la scritta: "attenzione, piante trattate". E l'aggiunta a penna "di morto male".

Se la hoha hola hon la hannuccia horta horta la conoscono tutti, quando la barista mi ha chiesto: "ci vuoi il hahao nel happuccino" me l'ha dovuto ripetere tre volte.

E se a Lucca dicono che "A Viareggio tre cose sono in abbondanza: l'acqua, la rena e l'ignoranza", i viareggini rispondono col mambo del lucchese (parodia dell'avarizia di cui i suddetti sono accusati):
"hai mai provato a chiedere a un lucchese se ti offre da bere? È assai probabile che gli si rompa il bicchiere"

Solo in Toscana...

mercoledì 13 maggio 2015

Body rental


Body rental... affitto di corpi. Suona un po' come "prostituzione", e alla fine non è nemmeno tanto diverso.
Gli italiani l'inglese non lo sanno. Ma ad usarlo a cazzo di cane sono i primi.

Ma che cos'è il body rental? E' ormai lo standard, la normalità del lavoro in informatica. Almeno in Italia. Il miglior modo di rendere stabile il precariato.

E' quello che mi avrei voluto sapere quando ho cominciato a studiare. Non avrei cambiato idea, ma forse sarei riuscito a muovermi meglio in questa palude. Eppure, per quanto abbia cercato di chiedere informazioni pochi anni fa, questo mondo l'ho scoperto solo standoci dentro.

Come funziona, dunque, il lavoro, per un programmatore di software, oggi, in Italia?
Diciamo innanzitutto una cosa: va meglio rispetto ad altri settori. Un po' di lavoro c'è. Anche se quasi tutto concentrato a Milano e poco più di qualche briciola nelle altre grandi città del centro-nord.

L'Italia, si sa, da tempo non è più la terra delle invenzioni, delle innovazioni. Allora a cosa serve l'informatica? Soprattutto alle banche. E, in misura molto minore, ad altre grosse aziende (grandi fabbriche, catene di supermercati, compagnie petrolifere ecc).
Ci si aspetterebbe, dunque, che queste aziende assumano informatici, tanti quanti gliene servono, e non sarebbero pochi.

E invece no!
Come no?
No, non li assumono.
Assumere? Che significa? Parola ormai cancellata dai dizionari di italiano da qualche versione a questa parte.

Lo hanno fatto in passato. Ed ora hanno al loro interno già un certo numero di dipendenti. Non necessariamente tutti utili.
Ma ugualmente avrebbero bisogno di un certo numero di lavoratori in più. Un buon numero. Si sono inventate questo sistema che servirebbe, in teoria, per gestire i picchi di lavoro. Li prendono in affitto. Da qui il termine "body rental".

Se questa soluzione fosse applicata in maniera corretta, sarebbe anche buona. La banca X ha bisogno di 20 persone in più, ma solo per qualche mese, e le prende in affitto.
Da chi?
Da aziende che fanno esattamente questo lavoro. Le società di consulenza. Che in teoria dovrebbero avere al loro interno delle persone preparate, da collocare su richiesta dei clienti. Un po' come mandare gli operai sul cantiere.
Bene, se la società di consulenza assumesse le persone che manda "sul cantiere".
Bene, se la società di consulenza garantisse ai suoi lavoratori una copertura lavorativa continua. E se li formasse.
Bene, se questo sistema servisse solo a gestire picchi di lavoro e se il cliente poi assumesse le persone più meritevoli. Sarebbe per il lavoratore un modo di inserirsi poi in un'azienda e rimanerci.

Non avviene nulla di tutto ciò.
Molto spesso la società di consulenza non conosce affatto le persone che manda a lavorare. Il titolare di queste aziende accompagna il candidato a fare un colloquio presso il cliente, presentandolo come un dipendente che da anni è presso la sua azienda e falsificandone il cv (negli annunci o nelle mail di contatto è specificato che il candidato deve presentare all'azienda di consulenza un cv in formato doc. Questo documento verrà modificato, verranno aggiunti anni di esperienza inesistenti presso la società di consulenza).
Non è difficile che il candidato e il titolare della società di consulenza si conoscano davanti alla sede dell'azienda cliente.

Una volta che il candidato, inventandosi quello che il cliente vuole sentirsi dire, passa la selezione, la società di consulenza gli fa un contratto. A progetto. Per l'esatta durata del lavoro presso il cliente. Il rischio che qualcosa vada storto e il lavoro finisca prima se lo becca il lavoratore. E l'azienda di consulenza non rischia nulla, non mette in gioco niente. Spesso non ha una sede fisica, o ha un piccolissimo ufficio per i colloqui. O prende anche quello in affitto.

Se il lavoratore (il consulente) è bravo e fortunato, i contratti gli verranno rinnovati a oltranza. Se lo è ancora di più, potrà essere assunto presso l'azienda di consulenza (più raramente, è il mio caso).
All'azienda cliente va bene così. Non assume mai, nemmeno con contratti precari. Nemmeno quando un consulente lavora presso l'azienda cliente da 15 anni.
Non è che le aziende clienti siano all'oscuro di questi meccanismi. Allora perché si rivolgono alle società di consulenza? Perché non fanno almeno un contratto precario al lavoratore? Perché poi non cercano di assumerlo? Per clientelismo, per amicizia tra chi c'è in un'azienda e chi c'è nell'altra. Magna tu che magno io.

E il consulente, se ha un contratto da precario, può essere pagato meno di quanto previsto dai contratti nazionali, senza ferie, malattia, tredicesima, tfr.
All'interno dell'azienda cliente esisterà sempre la differenza tra dipendenti e consulenti. I dipendenti, quelli che ce l'hanno fatta fino a qualche anno fa, avranno dei contratti migliori, la possibilità di crescere, di fare carriera. I consulenti no. Mai, nemmeno quando verranno dati loro degli incarichi di responsabilità. In molti casi si lavora bene insieme, in altri esiste una discriminazione forte. In alcune aziende hanno diviso la mensa dei dipendenti da quella dei consulenti. In altre dipendenti e consulenti sono divisi anche se lavorano insieme (e devono fare chilometri o telefonarsi continuamente per lavorare insieme).

Tra qualche giorno verrò spostato, come una pedina. Da Firenze a Viareggio. E vorrei tanto che non fosse vero.
Non è che volessi restarci ancora a lungo, ma questo cambio mi fa soffrire molto. Lascio delle persone a cui mi ero affezionato molto e devo tornare in sede, dove non volevo stare. E, visto che poi, dopo la laurea, comincerò a muovermi davvero per andare via dall'Italia, con i miei colleghi di Firenze sarà un addio. Loro questo non lo sanno, ma ho voluto ringraziarli uno per uno per come mi hanno accolto. Gliel'ho scritto "vi ho voluto bene e non vi dimenticherò". E ho pianto.

Questo è quello che voglio lasciare, sperando, cercando con tutte le mie forze di trovare una situazione migliore, un'azienda in cui crescere. Arrivo a questa battaglia con le armi spuntate, non tanto perché la laurea la prenderò dopo i 40 anni (ormai dovrebbe mancare poco), ma perché non mi è stata data finora la possibilità di fare molta esperienza utile. Ho bisogno di riprendermi, di uscire da questo sconforto.
E, come sempre, devo farcela. Non posso permettermi di arrendermi. Non ho mai potuto e non posso adesso.