sabato 29 agosto 2015

Finalmente

Pensavo che mi sarei dato da fare molto più in fretta, appena finito con l'università, per cercare di attraversare l'oceano.
Invece no, rispetto a quanto credevo che avrei fatto, sto "lavorando" molto più a rilento. Non è quello che voglio, ma mi sono reso conto che non è facile fare questo cambio e dedicarsi subito a un'altra attività altrettanto impegnativa.
Un po' perché sto raccogliendo le idee, il coraggio, le forze per fare davvero un passo del genere. Chi mi consiglia e mi aiuta in questo percorso me l'ha detto mille volte che è difficile. Che bisogna avere un valore aggiunto per essere prescelti da un'azienda che abbia intenzione di sponsorizzare anche un visto.
Arrivare a questo non è facile, va architettata una strategia, la strategia giusta. E ci sto riflettendo.
Ma non è solo questo. C'è anche molta stanchezza, accumulata in anni di studio. Dopo 6 anni passati senza poter mai riposare davvero sono letteralmente crollato. La spossatezza si è fatta sentire tutta insieme, prepotentemente.
Anche perché non ho avuto neanche un po' di vacanza. Né durante lo studio, per potermi preparare senza massacrarmi con le levatacce, né dopo.

Tutto questo per dirvi che finalmente le mie sospiratissime ferie sono arrivate. Ben una settimana, più un giorno, un'ora e mezza. Cioè da quando ho consegnato il lavoro appena fatto.

E domani si parte per una settimana di mare, nella zona più bella che questa regione ha da offrire. La maremma.
Ce l'abbiamo fatta anche quest'anno (e non è scontato, eh). Una settimana in campeggio. Affittiamo una roulotte sul posto, in un camping direttamente sul mare. Per uno come me, cresciuto negli scouts, il campeggio è l'unica forma di vacanza concepibile, la più bella. Si stacca completamente dalla città per immergersi nella natura. La Tremendazza ne sarà contenta, i bambini in campeggio possono scorazzare selvaggiamente, ahem, essere liberi.

E' tutto pronto, non andiamo lontano. Domani mattina si parte e siamo a destinazione in poco tempo.
Cari amici bloggers, vi porterò nel cuore, vi leggerò e vi  scriverò anche da lì. E poi vi racconterò di queste vacanze. Da domani però il blog resta:

immagine presa dal web




martedì 25 agosto 2015

Come, dove, quando e perché. 2) Dove

Ormai sto scrivendo i post a puntate come le storie di Topolino. Sarà perché mi sono sempre piaciute tanto.
I dubbi sul luogo a cui voglio puntare, sono finalmente sciolti. La maggiore difficoltà è nello scegliere questo posto "a tavolino", senza poterci andare prima, nemmeno per un piccolo periodo, per provare a vedere come ci si potrebbe stare.

Nella prima parte vi ho presentato una cartina. Rieccola.


Da qui ho detto che amplierei di poco le zone verdi per circoscrivere la mia ricerca. Questo è quello che intendo. Mi sono divertito a ritoccarla grossolanamente, come fanno quelli che mettono barba e baffi ai quadri.


Per chi, come me, considera l'Italia un posto troppo freddo (fatta eccezione per l'estate) la ricerca è difficile.
Giusto per essere chiari. A luglio, quest'anno, parliamo del mese più caldo da un secolo a questa parte, ho sofferto anche io il caldo. Ma molto meno di quanto soffro il freddo ogni inverno.
Mentre ora, ad agosto, per me c'è il clima perfetto.

La grossa difficoltà sta nel trovare, all'interno di queste zone verdi, un luogo in cui condurre una vita agiata, senza dover fare i conti ogni giorno con gravi problemi di sicurezza (come mi è già successo e succederebbe ancora in Messico), potendo offrire alla Tremendazza un ambiente, oltre che sicuro, di qualità, in cui crescere.

Il centro-nord Europa, che risponde bene a questi requisiti, che offrirebbe meritocrazia, work-life balance e servizi eccellenti per la famiglia, si trova in zona gialla. Come dire, neanche parlarne.

Ho così deciso di puntare alla parte meridionale della California.
E' strano che proprio io sia arrivato a pensare agli Stati Uniti come destinazione. Li ho evitati come la peste per tanto tempo. Sono stato anti-americano a partire dalla prima guerra del golfo, quando ho cominciato a identificare gli USA come i peggiori guerrafondai della Terra.
Non ho gioito come qualche imbecille quando il giorno del mio compleanno è diventato la data simbolo di una tragedia che ha visto la morte di tremila innocenti ad opera di chi odia l'occidente. Ma non ho mai appoggiato tutte le invasioni volute dalla Casa Bianca, la "guerra preventiva" in Iraq, che non c'entrava nulla e tutti gli interventi militari fatti al solo scopo di controllare le zone chiave del mondo.

A Cremona c'erano due statunitensi a scuola. Uno era una persona di gran cuore e molto intelligente, un ex ingegnere della IBM, con cui ho avuto un bel rapporto. Un altro era uno stupidotto che una volta è venuto a casa (abitava al piano di sopra) per chiedere a me e ai miei coinquilini come mai si forma la condensa sui vetri, perché non ci aveva mai pensato, non si era mai chiesto il perché di questo.
Non so perché, ma l'americano tipo l'ho identificato con questo secondo soggetto. E credo che sia qualcosa di molto comune.

In Messico ho scoperto (ignorantone che sono!) che gli USA hanno invaso metà del territorio messicano e che ne sono ancora proprietari. Che i messicani ce l'hanno ancora con loro per questo dopo 150 anni. Mentre ero in Messico il governo statunitense ha decretato che i messicani hanno bisogno di un visto anche per fare scalo aereo negli Stati Uniti. E i passeggeri vengono imprigionati in una sala d'attesa dalla quale non possono uscire fino al momento della partenza del nuovo volo. Quest'ultima notizia non l'ho verificata, me l'hanno raccontata persone che l'hanno vissuta.

Insomma, non è che l'America abbia conquistato facilmente le mie simpatie. Solo ultimamente ho accettato l'idea che, trattandosi di un territorio e di una popolazione pari a quelle dell'Europa, ci deve essere una grandissima varietà di modi di pensare, che non possono davvero corrispondere, tutte le persone, a questo stereotipo del "gringo idiota". Che non necessariamente il Pentagono fa quello che la popolazione considera giusto.
Finché non mi ha interessato l'idea di andarci a vivere, non mi sono preoccupato di superare i pregiudizi. Passando a lavorare nell'informatica, invece, ho voluto approfondire.

La patria dell'informatica è la Silicon Valley. Una ridente zona che circonda la baia di San Francisco.
(che avrà da ridere, poi?) Tanto per intenderci, parte della zona rosa in questa cartina.

Immagine presa dal web

La maggior parte dei programmatori, e, più in generale, degli informatici, sogna di lavorare qui. Ci sono le sedi principali delle più grandi aziende di informatica del mondo: Google, Facebook, Twitter, Apple e tantissime altre.
Ho voluto saperne di più di questa zona, capire come ci si potrebbe vivere. Per la prima volta, da quando ho iniziato questa ricerca, la rete mi è venuta in aiuto in una maniera che non mi aspettavo.
Ho cercato i blog degli italiani che vivono in California. Il primo che ho trovato, la persona che più di tutte ringrazio, che con i suoi racconti mi ha mostrato questo mondo meraviglioso, è Marica, con Vita a San Diego.
Senza mezzi termini, posso dire che mi ha fatto innamorare di questa zona, ancora prima di conoscerla. Sarà perché il suo ottimismo è contagioso, perché è capace di mostrare il bello ovunque, ma grazie a lei ho cominciato a vedere cosa c'è da quella parte del mondo.

San Diego e la Silicon Valley sono molto distanti, come il nord e il sud dell'Italia. San Diego è al confine col Messico. Sulla cartina è in viola.
La mia ricerca sulla Silicon Valley, però, mi ha leggermente deluso.
L'unico posto di mare della zona è San Francisco, che però, è un frigo. E che famo? Vado dall'altra parte del mondo a cercare il caldo per poi morire di freddo?
Il resto della Bay Area sembrerebbe molto migliore dal punto di vista climatico. Ma tutta la zona sta diventando sempre più invivibile. Troppo cara perché chi ci vive è sempre più ricco, proprio grazie ai proventi di queste multinazionali. Per la gente comune non è facile sopravvivere, e sono in molti ad andarsene.
In più, non mi piacerebbe vivere in un posto in cui tutti fanno lo stesso lavoro, in cui non esiste altro, ed è quello che sta succedendo a San Franciso e alla Bay Area. Chi non fa informatica se ne va perché non può permettersi di restarci. O almeno, questo è quel che leggo.

San Diego, dal punto di vista del lavoro per un programmatore, sembrerebbe nella media degli USA. Non ci sarebbero gli stipendi faraonici della Silicon Valley, ma nemmeno il costo della vita di quella zona. Resta una zona molto cara, anche se più accessibile della Bay Area.
Ho fatto ultimamente un po' di ricerche proprio sul costo della vita e sugli stipendi per accertarmi che sia una cosa fattibile, ma questo lo approfondiamo la prossima volta.

Ho preso in considerazione anche la Florida. Anche lì sole e mare non mancherebbero (mancherebbe però la montagna, che in California sarebbe uno spettacolo), e il costo della vita sarebbe probabilmente inferiore. Dipende, però anche lì, dalle zone. Dai dati che ho raccolto, tra San Diego (relativamente economica per la California) e Miami (probabilmente la più cara della Florida) si arriva più o meno agli stessi livelli. Poi, in Florida, esistono zone più economiche, ma non necessariamente belle come quelle della California.
A me sole e mare piacciono, ma la California offre anche più storia, maggiore varietà di luoghi da visitare nei dintorni (montagne, boschi, ecc.).

Mi rendo conto che può sembrare superficiale dare la massima importanza a questi aspetti, ma non è quel che sto facendo. Ho dato la priorità a lavoro e sicurezza. Queste cose sembrerebbero garantite in California, come in Florida. Se così non fosse, la cosa più facile sarebbe stata optare per il Messico, dove non avrei avuto difficoltà con immigrazione e permessi.

Il problema più grosso che mi pongo, infatti, non è solo quello di trovare un lavoro lì e di stabilirmici, ma di riuscire ad avere un permesso di lavoro. Per ora ho tentato un paio di volte con la Diversity Visa lottery, ma non è andata. E non si può certo contare sulla vincita alla lotteria per risolvere i propri problemi.
Avere un visto lavorativo negli USA, infatti, è la cosa più difficile che ci sia. Bisogna andare negli States a cercare lavoro, trovare un'azienda disponibile ad assumerti e a sponsorizzarti, tornare in Italia sperando e pregando che quest'azienda riesca a convincere il governo a darti un visto lavorativo, aspettare, aspettare e ancora aspettare. E intanto, posto che vada tutto bene, si deve vivere di qualcosa. E poi, una volta ottenuto un permesso di lavoro, non sono sicuro che questo possa essere esteso ai familiari per il loro soggiorno.

La gran parte di queste informazioni le ho avute proprio dagli amici bloggers e poi verificate come ho potuto. E chi mi viene a dire che non aiutano gli altri si becca un calcio in culo dal sottoscritto.

Sono alla ricerca di una strategia (il famoso "come" di cui poi parlerò). Intanto, per dirla in spagnolo "se vale soñar"

domenica 23 agosto 2015

La F'kkozz / La focaccia

Sit a fè na fest? Vulit fè mangè bun a l'krstien?
Sit a assì tutt'la dì i sciat akkian ce v sit a mangè?
Na kausa bbun ka putit fè je la f'kkozz.
C' stet a Mathar, la putit accattè o furn, e je d'luss, ca quann tras jind a nu furn a Mathar, t'naviss a assi c'tutt kaus.
C' stet lunden, la putit fè vu. Nan je d'ffuscl.

Sit a p'gghjè.
P'fe la post:
- la semml (cingcind gramm)
- l'ocqu (quottcind gramm)
- u' brutt
- u' ssel
- l'ugghj ('na kkiar p'trmbè la post i n'atatn p'mett da sus)

P'mett da sus:
- la solz (trecind gramm)
- u pmmdor pccnunn
- l'aliv
- l'orign

La solz la sim fott nu' assic o jess kiu bbun.
Volete fare una festa ed offrire qualcosa di gradito ai vostri ospiti?
Uscite per una gita fuori porta e volete portarvi dietro il pranzo?
Potete preparare una focaccia.
Se siete a Matera potete comprarla in un panificio, sono buonissime. Chi entra in un panificio a Matera porterebbe via tutto quel che c'è.
Se siete lontani potete prepararla. Non è difficile.

Ingredienti:
Per l'impasto:
- 500 gr. di semola rimacinata di grano duro
- 400 cc di acqua
- un cubetto di lievito di birra
- 1 cucchiaino e mezzo di sale
- 2 cucchiai d'olio d'oliva: uno per l'impasto, l'altro per il condimento

Per il condimento:
- passata di pomodoro (300 grammi circa)
- pomodorini
- olive
- origano.

Noi abbiamo approfittato della salsa che avevamo fatto in casa per condire in maniera più genuina la focaccia.


Immisckat la semml c l'ocq, u brutt i u'ssel. Nu tnim la mocn p'ffe u ppen e sim fott dè la post. C nan la t'nit sit a trmbè la post co l men i la sit a fa ste n'aur.


Mescolate farina, lievito, acqua e sale. Noi abbiamo messo tutto nella macchina del pane, altrimenti basta impastare con le mani e lasciar riposare per un'ora.


Quonn ste fott la post, sit a preparè ciò ca ve da sus: immscat la solz co l'orign, n'atazzc d'ssel i l'ugghj ('na kikkiar).


Quando l'impasto è pronto, bisogna preparare il condimento: in una tazza, mescolare la passata di pomodoro, l'origano, il sale e un cucchiaio d'olio.


Mttit sop a la spas du furn na kikkiar d'ugghj, mttit l man da jndr e 'nglilsciatvl bun i mogghj.
C' l man ngilisciat pigghiat la post. Je na post tutt ammddat, c'nan ste l'ugghj nan la putit mong trmbè.

Sulla teglia del forno adagiate un foglio di carta da forno o di silicone e poi versate un cucchiaio d'olio. Ungetevi per bene le mani.
Con le mani unte prendete l'impasto. E' una massa molto umida e solo l'olio vi permette di non farla attaccare alle mani.


Trmbet la post. La sit a pigghiè da sott i mett da jindr.

Ammassate nuovamente l'impasto per qualche minuto con le mani unte. Dovrete prenderlo da sotto e mettere all'interno i bordi.


Stnnit la post ind a la spas du furn.


Stendete la massa nella teglia del forno.

Mttit da sus, c'la kikkiar, la solz ca sit preparet. Sit a arrve tutt attern attern.


Distribuite col cucchiaio il condimento che avete preparato prima. Abbiate cura di coprire bene tutto fino ai bordi.


Mttit da sus l'aliv i l pmmdor.

Completate con le olive e i pomodorini tagliati a metà.


Fascitla stè na menz'or ind o furn stet. C'je nzc coll je mogghj, però o jess stet.
O cresc n'zc. Quonn ste chiu jirt, appccet u furn na m'nz or.


Lasciatela riposare nel forno spento per mezz'ora. Meglio se tiepido, ma spento. Lieviterà un po'. Quando la vedrete cresciuta, accendete il forno al massimo per mezz'ora.


Kess je ker c'a Mathar s chiem f'kkozz. Nan v sciat ngarconn c'u krstien la kiomn "pizza" (ka je titt n'ata kaus) o a n'ata maner. S la sondj a mangè  i l'ho piasciè u'stess.

Questa è quella che a Matera si chiama focaccia. Non scandalizzatevi se i vostri ospiti la chiameranno pizza (che è molto diversa) o in qualche altro modo. Sarà comunque gradita.

sabato 22 agosto 2015

Liebster Blog Award

Ho vinto un premio, che bello!
Mi sembra un po' come quando nel libro "parola di Giobbe" di Giobbe Covatta, avviene questo interessante dialogo tra Dio e Noè:
...
- Ma e' proprio necessario? (costruire un'arca)
- Si, rispose il signore, perche' ho deciso di affogare tutti quanti
- Ah, bella idea, complimenti Signore, proprio un bel pensierino!
- Sbrigati Noe', mettiti a lavorare. Non dimenticare che sei il prediletto!
- Che culo.
   disse Noe', che in antica lingua prebabilonica significa: <<Sia lode al Signore>>.

Insomma, mi è arrivata la catena di Sant'Antonio del Liebster Blog Award. Che prevede codeste semplici regole:
1. Non fracassare di mazzate chi ti ha nominato, che le donne non si toccano nemmeno con un fiore. Però si può, anzi si deve citare, così posso dire a chi si trova dopo di me "pigliatevela con lei"
2. Rispondere alle dieci domande che il blog che ti ha nominato ti ha posto. Ma c'è il voto? Io non mi sono preparato.
3. Porre dieci domande a tua volta. Si può copiare?
4. Scegliere altri 10 blog a tua volta e continuare la catena. E' dimostrabile che facendo così, in soli otto passaggi si arriva a raggiungere tutta la popolazione mondiale. Infatti 10 all'ottava fa dieci miliardi, più degli abitanti della Terra. Quindi, per quanto ne so, potrebbero già essere stati raggiunti tutti i bloggers. Ho una buona scusa per non continuare la catena.

Allora, proviamoci.
A nominarmi è stata Claudia, di Un'Alessandrina in America. Visto che ad Alessandria non faceva abbastanza freddo, è andata a prendersene un altro po' sui grandi laghi americani, In una delle zone più gelide degli USA. Sperando che a quelle temperature le zanzare non sopravvivano. Nel suo blog vi descriverà i suoi Happy Days a  Milwaukee.
Ecco le domande che mi ha posto (la curiosità è femmina):

1) Che spazio ha il blog nella tua giornata?
Non mi ci dedico tutti i giorni. Non potrei farcela. Ultimamente do un'occhiata tutti i giorni per non lasciare mai i commenti senza risposta. Cerco di scrivere almeno un post alla settimana, se ce la faccio, anche due (ma è difficile, eh!)

2) Vivi in un luogo dove vorresti restare o da cui vorresti scappare?
Vivo in un luogo che ho scelto solo in parte, preferirei andare altrove  e sto facendo molto per riuscirci, ne sto parlando in questo periodo, ma non sono all'estremo, da non poter soffrire per nulla il posto in cui vivo. Questo l'ho vissuto in altre città.

3) La tua famiglia legge quello che scrivi, capisce la tua voglia di scrivere e la sostiene? 
Mia moglie legge il blog, le piace e (raramente) lascia traccia del suo passaggio. Agli altri miei familiari l'ho nascosto, solo alcuni sanno, da pochissimo, della sua esistenza.
E, in generale, sono poche le persone che conosco dal vivo e che sanno dell'esistenza di "La vita comincia a 40 anni". Anche quando pubblico su facebook i link al blog, arrivano solo a un gruppo ristretto di "BlogAmici".

4) Che interessi hai al di fuori della scrittura?
C'è la domanda di riserva? Ho appena finito gli esami universitari, che mi hanno letteralmente "prosciugato", mi è arrivata addosso tutta la stanchezza di questi anni e mi sto interessando a come fare per emigrare. Il tempo mi manca per qualunque cosa.
Me lo ritaglio, per forza, per dedicarmi a preparare qualche piatto speciale, ogni tanto.

5) Perché scrivi?
Per dialogare con chi mi legge. Ho cominciato leggendo i blog di altre persone, commentando, e poi ho aperto il mio, per scambiare idee e opinioni.

6) Qual e` l'argomento che hai trattato nel tuo blog che ti ha dato più soddisfazioni?
I post culinari sono quelli che mi riescono meglio. Nei prossimi giorni ne arriva uno bilingue.

7) Qual e` l'argomento più controverso che hai trattato nel tuo blog?
Nessuno. Non l'ho fatto, non ne ho avuto il coraggio e la voglia. Ho opinioni fortemente impopolari su alcuni argomenti e non ho voluto parlarne di proposito. Ogni volta che mi esprimo sinceramente su temi "scottanti" vengo preso per pazzo e isolato. Non mi va di farlo qui e perdere i miei lettori.

8) Quando scrivi, scrivi per te stesso/a o con in mente una specifica tipologia di lettore?
Tutte e due le cose.

9) Sei soddisfatto/a di te stesso/a?
Come canta Vasco Rossi "devo dire anche che, soddisfatto di me, in fondo in fondo non sono mai stato..."
No, cerco di migliorarmi proprio perché faccio collezione di difetti e l'unico che mi manca è l'ipocrisia.

10) Se avessi la bacchetta magica, c'e` un luogo dove vorresti essere ora o una persona che vorresti trovarti davanti?
Le persone che amo di più sono con me, anche se ce ne sono alcune che mi mancano.
Riguardo al posto dove vorrei essere, ne sto parlando in questi post, è un discorso lunghissimo.

Ora viene la parte difficile. Non essere il solito "scocchiantone" (termine materano intraducibile che indica chi rovina un gioco o un discorso intervenendo in maniera inopportuna), che rompe la catena di Sant'Antonio. E allo stesso tempo non farmi caricare di mazzate da chi da me viene nominato.
In più porre io le domande. Qui il gioco si fa duro.

Facciamo così: compito a piacere, e più leggero di quello che ho ricevuto io dalla maestra.
Alle domande a cui ho risposto io aggiungiamo quelle che sono state poste a Claudia, che ha risposto qui. Venti domande, da cui sceglierne cinque, a piacere.

E, per farla ancora più facile, oggi si interrogano i volontari. Se dovessi fare io le nomination sceglierei i blog che vedete nella colonna qui a destra. Ma è molto probabile che siano già stati tutti "premiati", e se qualcuno non lo è, ed è all'ascolto, è invitato a intervenire.
In più, se fra i lettori c'è qualche blogger che vuole uscire allo scoperto e offrirsi volontario per continuare la catena, è benvenuto. Non deve fare altro che aggiungersi qui nei commenti.

Buon premio a chi non l'ha ancora ricevuto!

mercoledì 19 agosto 2015

Come, dove, quando e perché. 1) Perché

Come ho detto dall'inizio, sto scrivendo questo blog per parlare del mio, spero, futuro espatrio, di come lo sto organizzando, per cercare consigli e opinioni varie.
Molte persone che sono andate a vivere in un altro posto del mondo vengono sommerse di richieste, di indicazioni "come faccio ad andare a vivere dove sei tu?", di curriculum ("mi trovi lavoro?") ecc.
Facendo così non si ottiene nulla di buono. Io chiedo a chi scrive queste mail: "lo fareste voi per qualcuno che vi chiede di venire a vivere in Italia? Ci riuscireste, anche volendo? E se di richieste ve ne arrivassero ogni giorno?"
Vi assicuro che sono persone gentilissime, a me stanno dando una grossa mano. Ma non si può chiedere la Luna. Soprattutto perché ogni situazione è un caso a sé. Chiedere aiuto agli altri non significa pretendere che qualcuno faccia il mio lavoro al mio posto, questo non è possibile.
Invito chi vuole trasferirsi all'estero a seguire questi post e a fare qualche ragionamento insieme a me, ogni intervento è benvenuto.
La mia storia lavorativa, sentimentale, i miei spostamenti, ve li ho raccontati nei post precedenti. Ora invece cerco di sintetizzare (io? Quando mai!) per fare i miei passi.

Come gli investigatori sul luogo del delitto, provo a rispondere a queste domande riguardo il mio futuro espatrio:
- Come?
- Dove?
- Quando?
- Perché?

Prima di tutto: perché? Cosa mi porta a voler lasciare l'Italia? Cosa voglio trovare in un nuovo Paese? Cosa non voglio perdere di quel che ho oggi?
Le motivazioni sono cambiate nel tempo, ma alcune sono rimaste sempre quelle, altre se ne sono aggiunte. Oggi sono queste. Alcune di queste cose le ho anche qui, e non voglio perderle.

1) Per il clima. Io funziono ad energia solare. Soffro il caldo solo sopra i 35-40° ed il freddo appena si scende sotto i 20-25. E sono terribilmente meteoropatico. Ogni inverno mi viene voglia di scappare via, il buio mi deprime tanto. Questo mi porta a restringere molto i miei obiettivi.

Immagine presa dal web

Guardando questo planisfero, amplierei di poco la zona verde e circoscriverei lì la mia ricerca. 

2) Il mare. Mi piacerebbe molto vivere al mare, poterci andare tutto l'anno.

3) Un posto "vivo". Ho vissuto in città dove alle 7 di sera non c'è nessuno in giro, dove la gente è apatica e non coglie mai un'occasione per festeggiare. E cerco l'opposto. Un posto allegro, dove la vita venga presa alla leggera. Per me, che sono un musone, sarebbe terapeutico. Mi importa potermi inserire in una società e non restarne sempre al margine, essere accolto e non respinto. 

4) Il lavoro. Ho cambiato lavoro, passando dall'artigianato all'informatica, illudendomi anche di poter lavorare a distanza, per esempio vivendo in Messico e lavorando per l'Italia. Ho scoperto che a questo livello è quasi impossibile. Che è necessario vivere nel posto dove si lavora. 
L'informatica, fuori dall'Italia, offre molto. Ma non in qualunque Paese
Mi importa che ci sia meritocrazia, perché ho scelto di essere tra le persone che si impegnano per dare dei risultati, ho scelto di essere affidabile, Ho scelto di non prendere mai i meriti degli altri. 
In Italia non funziona così. Qui chi lavora di più e meglio viene sfruttato senza riconoscimenti e chi va davvero avanti è chi sa sfruttare gli altri. Sto sgomitando parecchio. ultimamente, per farmi almeno riconoscere i diritti di legge, ed è una battaglia persa. Qui la mia carriera sarebbe già arrivata al capolinea. Voglio invece che il mio lavoro mi basti per vivere più che dignitosamente e che mi offra anche un buon work-life balance.
Sono convinto che la situazione lavorativa in Italia sia destinata a peggiorare ancora. Forse la disoccupazione diminuirà, ma gli stipendi, già insufficienti oggi per vivere, caleranno ancora. E' quello che ho visto anche in Messico, disoccupazione bassa, ma stipendi che non coprono un affitto.

5) La qualità dei servizi. Scuola e sanità sono i principali. Mia figlia sta per cominciare la prima elementare, l'asilo che ha frequentato è stato a dir poco eccellente, e la scuola elementare promette bene. Poi, però, temo che l'eccellenza finisca lì.
Finora non ho avuto cattive esperienze con la sanità italiana.
Questo punto, infatti, non riguarda "ciò che voglio lasciare", ma "ciò che non voglio perdere". Non è scontato che scuola e sanità siano buone ovunque, va considerato che dove andremo dovranno essere valide.
Per quanto riguarda la Tremendazza, lei sceglierà il suo posto nel mondo, ma sto tentando oggi di offrirle oggi gli strumenti perché possa scegliere al meglio. Capisce già due lingue, sta frequentando una scuola con bambini che provengono almeno da 10 nazioni diverse, è una strada su cui bisogna continuare. Delle scuole che possano valorizzarla al meglio sono una necessità.

6) La sicurezza. Almeno al livello di qui. Sono cresciuto nella città più sicura d'Italia (così dicono le statistiche) dove si può girare di giorno e di notte senza paura, e la sicurezza resta un aspetto fondamentale.
In Messico non c'era. Non c'è da spaventarsi, ma bisogna stare sempre con gli occhi aperti. E' un'altra cosa che non è così scontata in ogni dove.

7) La gente. La cordialità, l'accoglienza, l'apertura mentale, la varietà di razze e culture. Ognuno di questi aspetti meriterebbe un capitolo a sé.

Già da soli tutti questi aspetti sono molto difficili da conciliare. Ed è per questo che ci sto mettendo tanti anni per arrivarci.

Continua (nella prossima puntata, "dove"...)

domenica 16 agosto 2015

Il rimbalzo - la seconda scelta

Eccoci arrivati all'ultimo capitolo di questa lunga serie di post. Spero di non avervi annoiati.
Vi ho raccontato di come ho fatto tutte le scelte che mi hanno portato fin qui, e spesso, di quanto le ho pagate.
Scegliere di vivere "fuori dagli schemi", di non accettare il percorso che gli altri (i genitori, la società, chiunque) vogliono importi non è sempre la cosa giusta da fare.
Bisogna saperlo fare, crearsi delle valide alternative. Se crescere "inquadrati" come si fa ancora oggi in Italia, come vi ho raccontato qui, non ci piace, si può fare diversamente. Ma si paga.

Ed io ho scelto di cercare di fare un lavoro di nicchia come quello del liutaio. Sono affascinanti tutte le storie di successo, ma, dovremmo ricordarcelo più spesso, per ogni persona che ce la fa, ce ne sono tante che perdono la loro sfida, e spesso non lo raccontano. Nel post fiume di qualche giorno fa vi ho scritto di come ho perso. Ora vi racconterò di come ho ricominciato da zero.

 Per una decina d'anni ho lavorato senza avere un posto fisso. Si potrebbe dire come un lavoratore autonomo. Ho preso il lavoro che mi arrivava, ho cercato di farne diventare qualcosa di stabile e redditizio. Ed ho goduto di una libertà immensa. La libertà di non avere la sveglia ogni mattina, di scegliere quando lavorare, se di giorno o di notte, di lunedì o di domenica. La libertà di passare anche tutto l'inverno in Messico.
Ed ho pagato questa libertà, l'ho pagata tutto il suo prezzo. Per anni abbiamo dovuto aspettare per avere figli, perché questa mancanza di stabilità non ci permetteva di poter dare sicurezza a un bambino. Abbiamo vissuto un paio d'anni in un garage. Chiamatelo, se preferite "monolocale a piano terra", "tavernetta". La sostanza non cambia, quello potevamo permetterci, abbiamo trasformato un garage (che però aveva una porta a vetri invece di una saracinesca) in un monolocale, dipingendolo, realizzando un paio di mobiletti, attrezzandolo.
Non che non volessi fare diversamente, che non cercassi di migliorare questa situazione. Matera, dal punto di vista lavorativo, non ha mai offerto nulla. Chi ci abita oggi lavora nel settore pubblico (ormai blindato, inaccessibile) e nel turismo (che però dà molto meno lavoro di quel che si può pensare).

Ho imparato, in Messico, a vivere alla giornata. Ad affrontare i problemi quando arrivano, ad essere anche incosciente, a volte. Quando il lavoro ha cominciato a diminuire non me ne sono preoccupato, seriamente, finché non è finito del tutto.
Solo allora ho preso in mano seriamente il problema. Per la prima volta, a 33 anni, ho cominciato a cercare lavoro. E, fortunatamente l'ho trovato quasi subito.
In Valtellina, in un laboratorio di organaria.
Non mi piaceva l'idea di andarci, già al telefono e poi durante il colloquio di lavoro il capo si era dimostrato un imbecille. Un bigotto, uno di quelli che pensano di insegnare a tutti come si sta al mondo. E aveva trasformato l'azienda in un lager. Tutti i giorni arrivava quando voleva e cominciava a urlare, a torto, con chi capitava. L'azienda, perfetta per chi la vedeva dall'esterno, era in realtà uno sfascio, perché lui non faceva la sua parte e rendeva vano ogni sforzo da parte di noi operai.
Non mi voglio dilungare su questa azienda e su questo essere viscido perché non merita nemmeno tutta questa considerazione. Ce l'ho fatta a rivalermi denunciandolo quando ha tardato a pagare il TFR, di pochi giorni.

Va da sé che il periodo è stato molto difficile. Ma, rispetto ad anni prima, c'era con me mia moglie, che con tanto amore mi ha aiutato a superarlo. Ha condiviso con me ogni sacrificio, ogni passo di questa crescita.
I primi giorni, quando sono arrivato, ero disperato per questa situazione. Lei, che stava vivendo tutto questo con me, non si perdeva d'animo. Mi regalò questo portachiavi.


E non si perse d'animo. Lei ha sempre saputo cogliere il meglio, ha apprezzato la bellezza della Valtellina, ha trovato, per un po', un lavoro anche lei (fino alla gravidanza, lavorare facendo le pulizie incinta era troppo rischioso), ed ha aiutato anche me a non abbattermi. Mi diceva "è la ruota della fortuna, qualche volta si sta sopra, altre sotto, ora siamo sotto".
L'ho detto qualche volta che ho sposato una grande donna?

Quando ho trovato lavoro non avevamo nemmeno i soldi per aprire una nuova casa. Abbiamo chiesto e ottenuto tutto l'aiuto possibile.
Il giorno prima di ricevere il primo stipendio eravamo rimasti con un solo euro e, nel frigo, giusto quello che serviva per mangiare quel giorno, non di più.
Fu allora che promisi a me stesso che non mi sarei messo più in questa situazione, che avrei cercato di "venire fuori da questo casino". Era quella la frase che mi ripetevo "devo venire fuori da questo casino".

Cercare di andare via facendo ancora l'artigiano, o l'operaio, non andava bene, e meno ancora con un lavoro di nicchia. Dovevo trovare un lavoro più comune, preferibilmente di ufficio, che si potesse fare ovunque, come dipendente, che permettesse di muoversi.
La strada l'ho trovata con l'università. Scegliendo di cominciare come informatico.
In uno dei primi post di questo blog ho scritto che credo che esistano tre scelte che possono rendere felice una vita. La prima ve l'ho raccontata, e la terza è quella che caratterizza tutto questo blog. Vi sto parlando ora della seconda.
Mi sono immatricolato quando mia figlia aveva un mese (e sapete che ho appena finito gli esami) e ogni giorno continuo a dire "meno male che l'ho fatto!".
Un mese dopo la mia iscrizione all'università sono stato messo in cassa integrazione. Sono stato avvisato che questa era solo una misura per ritardare il licenziamento che sarebbe arrivato dopo.
Improvvisamente, con poco preavviso. Era il 2009 e la crisi era arrivata con tutte le sue stangate. Allora si credeva che sarebbe durata solo qualche mese, da allora continua a peggiorare.

Ho fatto una scelta rischiosa. Avevo la possibilità di stare un po' di mesi a casa, con una piccola entrata (il sussidio della cassa integrazione prima e della disoccupazione dopo). Mi sono dedicato allo studio senza cercare lavoro per un po' di mesi, e ho sostenuto tutti gli esami che potevo. Poi mi sono lanciato nella ricerca di un'occupazione nell'informatica. Mi è andata bene anche qui.

Da allora, da quel giorno in cui avevamo un solo euro in tasca, è cominciata la ripresa per noi. Perché
si deve cadere in basso, fino al punto più basso per cominciare a risalire, per rimbalzare. E quello per me è stato il punto più basso.

Oggi non ho paura. Ho imparato che la stabilità non si crea cercando un "posto fisso", ma qualificandosi e riqualificandosi continuamente, in modo da essere sempre appetibili, desiderati sul mercato. La ripresa non è finita. Sta continuando, sto cercando di ottenere di più.Ve lo sto raccontando, continua nelle prossime puntate.

venerdì 14 agosto 2015

I colori del Messico


Questo molti di voi lo sanno. Visitare un posto da turista e viverci è qualcosa di completamente diverso. E nonostante tutto è facile innamorarsi di un luogo visitato per pochi giorni, o solo immaginato, e volercisi stabilire.
Il Messico è un'esplosione di colori. 
Una natura, in tanti posti, ancora selvaggia, che regala spazi immensi, frutta come in nessun altro posto, mari, montagne, animali di ogni specie. Un buon clima, mai estremo, né troppo caldo, né troppo freddo. 
Colori ovunque. Nelle strade, dove ognuno è libero di dipingere la propria casa come preferisce senza dover chiedere permessi. Nei mercati, dove la tela viene venduta in mille fantasie che piacciono tanto anche a noi. Con queste belle tele mia moglie ha realizzato tende e tovaglie per la nostra casa, devo trovare in giro qualche foto da scansionare e postare.

Come per ogni Paese, per il Messico esistono degli stereotipi duri a morire, che a volte rispecchiano la realtà, altre proprio per niente. Vediamone alcuni:

Il sombrero
Esiste. Ma non è questo.

Questo qui sopra, che è quello che di solito immaginiamo come "sombrero messicano", esiste, in Messico si trova. Ma il cappello tradizionale  è questo
La siesta. E il dolce far niente.
Vorrei sapere chi si è inventato che i messicani fanno la siesta sotto il cactus col sombrero come Speedy Gonzalez.
Non esiste (purtroppo) l'abitudine di dormire di pomeriggio. Ho scoperto più tardi che è una tradizione spagnola, ma che purtroppo in Messico non c'è. E non è nemmeno vero che i Messicani non siano dei gran lavoratori. Molto spesso i messicani lavorano tanto, ma tanto davvero. Non sempre bene, ma molto, perché la maggior parte dei lavori sono pagati poco e bisogna lavorare tanto per tirare avanti.

Il peperoncino.
Per una volta possiamo dire che non ci si è fatti un'idea sbagliata. I messicani mangiano veramente piccante, molto più di quanto possiamo pensare.
Per un messicano le caramelle al peperoncino non sono uno scherzo di carnevale, ma qualcosa che la gente mangia con gusto, così come i gelati, e l'immancabile spolverata di peperoncino in polvere sulla frutta.
Al supermercato esiste la corsia dei peperoncini. Grandi, piccoli, rossi, verdi, di tutte le dimensioni, forme e colori. E non ci credete se qualcuno vi dice "no pica", vuol dire che un piatto è poco piccante per i loro gusti, ma non esiste nessuno che non mangi piccante almeno un po'. Serve per dare sapore, come da noi il sale.
Lo vedete questo piatto innocente?


Fate piano, ma molto piano. Queste sono enchiladas suizas. Quella salsa verde è a base di chile serrano, un peperoncino verde più piccante dei nostri. Le tortillas vengono riempite di formaggio e spalmate con questa salsa e poi messe in forno.
Per me questo piatto ha un valore particolare. E' la pietanza con cui mia suocera mi ha accolto quando sono arrivato per la prima volta in Messico. Il piatto della festa. A me, un perfetto sconosciuto, allora. Ma lei mi vuole un gran bene e me ne ha voluto dal primo momento.
A me piaceva mangiare piccante e non mi sono tirato indietro. Piangevo, ma ho gustato quel piatto e l'amore con cui mi è stato preparato.

E' difficile sintetizzare in poche righe tutto quello che ho vissuto in un solo anno. Le illusioni e le delusioni, la bellezza e la tristezza.
Le illusioni ci sono state. Ho creduto, per un po', che almeno lì esistesse una vera cultura musicale, alimentata dagli eventi organizzati dalla "casa de la cultura", l'assessorato culturale di ogni comune. Mia moglie cantava nel coro della casa de la cultura, come contralto. Quando sono arrivato il coro ha fatto diversi concerti in giro per lo Stato.
Sembrava che quest'attività potesse diventare un lavoro, invece, purtroppo, anche in Messico la corruzione è tanta e anche le volte che il coro avrebbe dovuto ricevere qualche soldino, quei pesos se li è intascati qualcun altro. Fine del sogno.
Anche per la liuteria, la mia impressione iniziale è stata che ci potesse essere del mercato, invece anche lì, non è andata come speravo. Sono riuscito a fare qualche riparazione, ma niente di più.

In Messico mi è anche toccato perdere qualcuno. Mio suocero ci ha lasciati improvvisamente mentre eravamo lì.
E qui non ho trovato tante differenze con l'Italia. Il Messico è un paese cattolico e funerali e cimiteri ci sono come dall'altra parte dell'oceano. Peccato, gli avevamo appena annunciato la data del matrimonio, non ce l'ha fatta e la mia sposa è stata accompagnata all'altare da suo fratello.

Avete mai sentito le spie acustiche di retromarcia (in Italia ce ne sono poche)? E' facile che in Messico vengano sostituite da una sirena che imita il canto del gallo. La macchina va in retromarcia e fa "chicchirichi".

Se volessi mettere sul piatto della bilancia le esperienze vissute, devo dire che è difficile.
Da una parte ci sono l'allegria di tutti i giorni, i colori incredibili, la vita spensierata, senza pensare al domani, la frutta migliore, i paesaggi stupendi.
E dall'altra ci sono le fregature. Le illusioni e le delusioni, la corruzione, le ingiustizie, la sanità pubblica scarsa affiancata a quella privata buona e un po' costosa. E poi ancora, il lavoro sottopagato che non ti permette di sopravvivere,

Quando sono tornato me ne sono pentito per anni, e per anni ho cercato di tornare. Ora non lo rifarei, è molto diverso vivere in due ed essere in tre. La tremendazza ha bisogno di una buona scuola, e in Messico non è facile trovarne una. Così come è  difficile pensare alla sicurezza della famiglia.

Ne parleremo ancora, non mancherà occasione.

martedì 11 agosto 2015

11.111

Oggi "La vita comincia a 40 anni" compie un anno.
Un anno intenso. Fatto soprattutto di università, ma anche di cucina, di esterofilia e di altro.
Un anno difficile. Meno di un mese fa l'ultimo esame universitario.

Un anno di "Grazie". Undicimilacentoundici Grazie. Questa foto l'ho fatta un attimo troppo tardi.


L'undici è il mio numero preferito. Oggi è l'undici agosto. Significa che tra un mese esatto, l'undici settembre, compirò 41 anni. 

Affrontare il periodo dell'università con il vostro supporto è stato più leggero. Poter tirare fuori anche il peggio di me trovando la vostra comprensione mi ha sollevato.

24 persone seguono la pagina facebook, 6 followers. Mi fa tanto piacere. Non ho mai avuto aspettative e queste cifre per me sono importanti.
Il post più letto di tutti è "Vasectomia". Questo, come altri, per qualche caso compaiono in alto nei motori di ricerca. Ma questo lo sapete, è visibile.
Quello che non sapete è che la maggior parte delle visite, ultimamente, arriva dalla Russia.

Grafico dei Paesi con il maggior numero di persone che visualizzano i blog

E questo sì che è strano. In Russia non conosco nessuno, e non ho mai avuto un commento proveniente da questo Paese. Sono molto curioso di sapere chi è che segue così silenziosamente.
Devo molto alle persone che conosco, per il loro appoggio e per i loro consigli preziosi che hanno voluto regalarmi qui.

Oggi però voglio dire grazie a chi finora mi ha seguito silenziosamente. E voglio invitare chi ha scelto, finora, solo di leggere, a farsi avanti, a dire la sua, che sia d'accordo con me o in completo disaccordo. Tutti sono i benvenuti, con le loro idee ed opinioni.

Di nuovo, undicimilacentoundici grazie.

domenica 9 agosto 2015

Il Messico - la mia esperienza expat

Questo è il blog di un aspirante expat. O meglio, di un ex expat, che aspira a tornare a vivere fuori dai confini del paese natio.
Ultimamente sto scrivendo una serie di post in cui racconto tanto. Ma non so se sto tediando i miei lettori. E ora vorrei continuare raccontando qualcosa di questa esperienza expat.
Facciamo così. Se vi piace e vi interessa ditelo, o date uno spolliciamento qui sotto. Altrimenti cambiamo argomenti.

Come ho conosciuto mia moglie e quanto l'ho cercata l'ho raccontato qui. Ma insieme a questa ricerca ce n'era, e ce n'è anche un'altra: quella di un posto dove mettere radici.
E' successo. Non volevo, ma è successo. Quando sono partito volevo tornare, e donarmi alla mia città. Poi, però qualcosa si è rotto. Ogni volta che tornavo la mia città la riconoscevo sempre meno. E sicuramente, quella in cui stavo è l'ultimo posto in cui avrei voluto restare. E, almeno su questo, rimane ancora così.
Allora ho deciso di cercare il miglior posto del mondo. Sole e caldo tutto l'anno, gente allegra e ospitale, un posto vivo.

Quando sono partito per il Messico per la prima volta avevo paura. Ne ho sempre avuta ogni volta che ho fatto una scelta. Ed è quella paura che mi ha portato ad andare avanti, a capire che stavo facendo la cosa giusta, è quella paura che ho oggi.

Quando, pochi mesi dopo, sono partito per restare, non avevo nulla in mano. Pochi soldi da parte, non avevo un lavoro in Messico e non ce l'aveva più nemmeno mia moglie. Pensavo, e speravo, di potermela cavare come liutaio.
Siamo stati ospitati dai suoi per qualche mese. Intanto mi è stata offerta anche la possibilità di insegnare italiano.
Non ho una preparazione specifica, anzi non ho nemmeno studiato latino. Ma con la grammatica me la cavo bene e mi sono sempre comportato in maniera più che professionale sul lavoro. L'essere poi, tra i pochi madrelingua presenti in una città di un milione di abitanti, ha fatto il resto.

Ho conosciuto A, il direttore della Dante, la scuola di italiano per stranieri diffusa in tutto il mondo.
Se dovessi descriverlo, vi parlerei del dottor Balanzone. Bolognese, colto e amante della buona tavola, mi ha accolto bene e mi ha offerto la foresteria della scuola e un piccolo stipendio. Se non fosse stato per lo stipendio, che era davvero basso, ci metterei la firma oggi, per poter cominciare una nuova esperienza con queste condizioni.
Ma il Messico è così. Non esiste la classe media, ci sono i ricchi e i poveri, e molti lavori, dall'insegnante all'autista, alla segretaria, all'operaio, allo spazzino, sono trattati allo stesso modo, vengono tutti pagati pochissimo e uno stipendio non copre un affitto.
Per gli standard della zona, A. mi aveva offerto anche molto. Ho accettato e intanto ho messo in casa un piccolo laboratorio di liuteria, cercando intanto di promuovermi in zona e completando il violoncello che stavo realizzando.

E lì, a Leòn, nel centro del Messico, lontano dalle mete turistiche dei caraibi, ho trovato tutto quello che chi vive oggi all'estero mi descrive dell'incontro e dello scontro con una nuova cultura.



Perché quando sei lontano non torni a casa per Natale e Pasqua, sei lì e ci rimani. E quello che succede è che devi fare un pacchetto di tutto quello che fino al giorno prima hai dato per scontato e metterlo da parte. Come quegli scatoloni che metti in soffitta, di cose che non butti, ma che un giorno potrebbero servire, e che ogni tanto vai a riprendere.
In parte, e solo in parte, sono stato favorito dall'essere nella città di mia moglie. Ma le novità sono state molte.

Sono cresciuto programmando ogni cosa. Questo concetto in Messico è sconosciuto. Non ho mai sentito un messicano parlare del futuro. Mai, giuro. Il futuro non esiste, esiste solo il presente e ogni problema viene affrontato quando si presenta, mai previsto.
E' un modo di vivere da una parte molto sereno, senza l'angoscia che contraddistingue la vita del primo mondo, dall'altra c'è un'incoscienza totale.

Se due persone vogliono sposarsi lo fanno, non si preoccupano di avere prima un lavoro. Se non possono permettersi di andare a stare per conto loro, intanto vanno a casa dei genitori di uno dei due, poi si sistemano con calma.
Non aspettano anni per sposarsi, anche perché molti desiderano una famiglia numerosa.
Attenzione, la famiglia numerosa che intendiamo noi, 3-4 figli, qui è solo una famiglia media. Numerosa è una famiglia con 7-8 figli.
E come mantenerli?
Ci penserà Dio. I bambini nascono col panino sotto il braccio.

In alcune cose si resta meravigliati in positivo. I lavori pubblici si fanno, e alla svelta anche. Sulle strade lavorano solo di notte, per non intralciare il traffico, e ci sono anche 3-4 corsie per senso di marcia che attraversano la città.
Molta gente la macchina non può permettersela. Ma non è un problema. I trasporti pubblici, tutti su gomma, sono spesso di alto livello. Un autobus che percorre 350 Km offre poltrone comode con molto spazio (se ci si siede vicino al finestrino e ci si vuole alzare non è necessario scomodare il vicino), televisione a bordo con film in prima visione (questo 10 anni fa, ora c'è anche il wi-fi, leggo dal sito), bagno a bordo (pulitissimo) e un piccolo rinfresco (panino e bibita per un viaggio di 5 ore).



Frequenti e puntuali (un percorso che in Italia viene coperto con 2-3 corse al giorno ne prevederebbe in Messico una ogni ora), permettono al viaggiatore di non dover mai programmare nulla. Vuoi partire? Vai in stazione, compri il biglietto e parti.
Quando, a scuola, un esercizio di italiano prevedeva di programmare una giornata con più spostamenti e c'era un orario dei treni, nonostante io cercassi di spiegarlo al meglio, nessuno ha mai voluto provare a farlo. Tutti, e dico tutti, mi hanno risposto "non ci capisco niente", e non era una questione di lingua.

Continua (se vi piace)...

lunedì 3 agosto 2015

L'acero, l'abete e l'ebano

...continua da qui
L'acero, l'abete e l'ebano sono i tre legni che servono per costruire un violino. Tre alberi completamente diversi, che crescono in zone diverse, che per aspetto e carattere non si assomigliano. E ognuno ha il suo ruolo.
L'abete, tenero e delicato, serve per la tavola armonica e vibra, riflettendo la vibrazione delle corde.
L'acero, più duro, ma sensibile alle vibrazioni, viene usato per la cassa armonica e per riccio e manico.
L'ebano, durissimo, pesante, nero. Per la tastiera e per tutte le parti della montatura, che devono essere resistenti.
E altrettanto eterogenea era la composizione degli studenti della scuola di liuteria.

Volevo tornare indietro, ma non sapevo come fare.
Fosse stato per me non avrei scelto una scuola superiore a 14 anni, me ne sarei andato a lavorare. A fare il muratore, il cameriere o qualunque altra cosa avessi trovato.
Non perché non mi piacesse studiare. Non perché non me la cavassi. Ero sempre tra i più bravi.
Volevo essere indipendente. A 12 anni avevo deciso che dei miei genitori ne avevo le scatole piene e che non volevo vederli più. E, a chiunque creda che questo è solo un momento di passaggio dell'adolescenza, rispondo che la cosa non è cambiata nei 30 anni successivi.

Non mi è stato permesso. A scuola dovevo andarci per forza. Avevo scelto ragioneria per esclusione, volevo lasciare a metà, ma nemmeno questo mi era stato concesso. E così mi sono vendicato buttando all'aria quei 5 anni. Non mi importava nulla di fare il ragioniere.
La scuola di liuteria mi dava l'opportunità di fare qualcosa di pratico. E poi qualche ragione più "terra terra" c'era.
Fino a 19 anni sono cresciuto con l'idea che trovare un lavoro è un miracolo. Oggi chi parla di crisi mi fa ridere. La situazione difficile che c'era già negli anni 80-90 al sud non si è mai vista né qui in Toscana e men che meno in Lombardia, nemmeno nel periodo più difficile dell'attuale crisi.
Mi sono fatto l'idea che con un lavoro autonomo avrei potuto salvarmi da questo.
E ancora c'era una ragione importante, quella che mi ha portato alla fine a questa scelta. Volevo portare alla mia città un servizio che non aveva.

Amavo Matera e volevo regalarle questo.

Ed ero convinto che avrebbe funzionato, che essendoci un conservatorio e non essendoci liutai, avrei avuto tutto il mercato per me. E che mi avrebbero accolto col tappeto rosso.
Fuori da ogni dubbio, lo dico ancora, volevo fare il liutaio per farlo a Matera. Era anche un modo per tornare indietro, a fare un lavoro manuale, cosa che non mi è stata permessa prima.

E così ho cominciato la scuola di liuteria. E ce l'ho messa tutta. Sono stati anni difficili. In un posto come Cremona, in un ambiente come quello dell'artigianato, un terrone resterà sempre un fastidio.
Discriminazione in un posto dove arrivano studenti da tutto il mondo è un'assurdo. Ma è così. O almeno lo era.
E' stato difficile. Invece di passare un bel periodo di divertimento, mi sono ritrovato "all'estero", completamente disadattato. Perché per me quello era ed è ancora oggi un paese straniero. Un'altra lingua, con il maestro di laboratorio che parlava solo in dialetto, anche capendo l'italiano, e che non mi ha mai dato una spiegazione, che non ha mai risposto a una mia domanda, e che mi ha messo contro molti compagni di scuola. Un'altra cultura, nulla in comune con quello che avevo vissuto finora.
Non me ne sono accorto per parecchio tempo, il razzismo che ho subito è stato subdolo. Mi aspettavo di essere insultato, anche picchiato, avevo paura di questo. Invece no, per quattro anni molti non mi hanno mai rivolto la parola e non capivo perché. E parliamo di una classe in cui c'erano tre italiani su trenta, gli altri venivano da tutto il mondo. Tedeschi, francesi, spagnoli, giapponesi, messicani, e tanti altri. Li sentivi dire che il sud è un posto pericoloso, che se ci vai rischi di prendere un colpo di pistola e cose simili.
Le uniche persone con cui ho fatto amicizia sono stati i vari latino-americani. Persone splendide, che non dimenticherò mai. Capaci di donarti tutto quel poco che hanno, di volerti bene in maniera disinteressata.
Ho vissuto per un po' di anni il contrasto tra la difficoltà di vivere in un posto in cui non volevo stare e l'apprendimento di un lavoro meraviglioso.
Perché lavorare il legno è qualcosa di stupendo. Quando impari vedi le tue mani incredulo e pensi "davvero le mie mani possono fare questo"?
Perché intanto le mie mani imparavano a fare questo.


Per alcuni periodi sono tornato a Matera. Per un primo periodo di psicoterapia (già non stavo benissimo, ma quegli anni mi hanno ridotto male male), poi per il servizio civile.
E lì qualcosa si è rotto.
Prima contavo i giorni per poter tornare a Matera al più presto, ad ogni occasione, a Natale, a Pasqua, l'estate.
Poi, in quei periodi, Matera ha smesso di essere la mia casa.
I miei amici, partiti per l'università per diverse destinazioni in Italia non sono più tornati. Erano partiti senza l'intenzione di tornare.
E quando passi dei lunghi periodi fuori, poi niente torna più come prima. Senti la differenza tra chi ha vissuto anche un po' fuori e chi è rimasto, vedi che nulla è cambiato e che nulla cambierà. E tutto ti sta sempre più stretto.

E non sono riuscito mai a inserirmi nel mercato. Mi aspettavo chissà che dal conservatorio, ma ho scoperto che i professori spesso impongono agli alunni di acquistare gli strumenti da chi dicono loro, cioè da chi passa loro delle buone tangenti. Mi sono sempre rifiutato di farlo e non ho mai venduto nulla.
Ho lavorato un bel po' con mio fratello, che intanto ha imparato a restaurare organi. E intanto ho cercato per anni di inserirmi come liutaio senza cedere mai al ricatto delle tangenti, senza ascoltare chi, qualunque prezzo facessi, mi chiedeva sempre di dimezzarlo. Senza cedere alla tentazione di comprare strumenti scadenti, di fabbrica, e riadattarli invece di fare io quello che potevo cercare di fare, al meglio. Non che io fossi bravissimo, ma non ho voluto adattarmi a fare il peggio per vendere a prezzi stracciati. O meglio, proponevo prezzi già bassi e mi aspettavo anche dei ringraziamenti, invece di un vergognoso mercanteggiamento da parte di gente senza scrupoli.

Ho lottato per 16 anni (compresi quelli di Cremona), con l'aiuto di mio fratello che mi ha dato lavoro per un bel po'. Finché a un certo punto anche a lui è venuto a mancare. Sfortunatamente proprio nello stesso periodo in cui è morto mio padre.
Non potevo più lottare per migliorare la mia città. Dovevo andare via e cercare di sopravvivere.

Ho lottato per 16 anni e ho perso. Non me ne pento. Ma a chi dice che bisogna restare per migliorare la propria terra dico questo: "ho lottato per 16 anni e ho perso". Non ho più nulla da rimproverarmi.

E, per rispondere a Silvia, che nello scorso post mi parlava di semina e raccolto, devo dire che ho seminato tanto, zappato anche, ma il raccolto è andato perso più volte. Se avessi tratto frutto da tutto quello che ho imparato finora, da tutto quello che ho studiato in tante occasioni, sarei ricco.

domenica 2 agosto 2015

Il biscottino della discordia (seconda parte)

Ormai la normativa sui cookie è stata recepita abbondantemente da tutti.
Con immenso scassamento di maroni da chiunque voglia visitare una pagina web. Qualunque sito si visiti avrà sempre questa riga davanti, non se ne può già più. Ed è passato pochissimo tempo, eh! Non mi rassegno ancora all'idea che navigare sul web diventi una pena con tutte ste bande spaccaminchia su ogni sito.
Comunque, nulla da fare, bisogna adeguarsi per forza.
Qualche settimana fa ho cominciato a parlare di questi cookie. Ho espresso un po' di dubbi che non mi sono stati per niente chiariti dalle notizie successive.
Prima di tutto: in capo a chi è l'obbligo del banner, dell'informativa e la responsabilità dei cookie? Quello che ha fatto Google è lavarsene allegramente le mani. Loro hanno fatto un banner che potete vedere su ogni blog di blogger e poi mi hanno avvisato "La responsabilità di controllare che tutto funzioni è tua", come dire "ti abbiamo fatto anche un favore a metterti il banner, il blog appartiene a te".
Un'ulteriore assurdità è che anche i siti con domini extra UE sono soggetti all'obbligo. Qualunque sito visibile in Europa (quindi qualunque sito web esistente) deve essere in regola coi cookie. Ma mi spiegate perché chi in Europa non c'è mai stato, non ha mai pensato di venirci, non è cittadino di uno stato europeo, dovrebbe preoccuparsi delle leggi di ogni paese? Cioè, perché un sito web sia in regola chiunque lo crea deve preoccuparsi delle leggi di ogni paese del mondo? E poi come andate a rincorrere all'estero chi non rispetta queste regole?

Quindi Google mi ha messo un banner che avvisa che spara cookie agli utenti. Se non avessi anche i bottoni social basterebbe così. Ma i bottoni social ce li voglio, e anche quelli mandano cookie da parte di facebook, twitter e pinterest. Non dovrei avere altro, ho provato a capirlo, sembra che non ci sia nulla di più.
Ricapitolando:
- google, proprietaria di blogger manda cookie agli utenti. Ma Google è una terza parte o il titolare del sito? Boh! Comunque mi mette il banner solo per i suoi cookie e nell'informativa estesa non fa riferimento a cookie di terze parti.
- i pulsanti social mandano i loro cookie e tocca a me avvisare l'utente.

Come si fa? Una soluzione l'ho trovata, non comodissima, ma funziona.
1) Ho creato un'informativa estesa mia, personalizzata, dove ho indicato quali siti mandano cookie all'utente e ho messo i link alle loro privacy policy. Da questa informativa c'è anche un link all'informativa estesa di google.
Questa informativa va migliorata, devo vedere bene cosa ci va scritto, anzi chi ha voglia di dare una mano e mi manda un testo pronto, mi fa un favore.
Il problema è che questa informativa non poteva essere un post del mio blog, se uno va a cliccarci per leggerlo partono già i cookie. Bisogna farlo su una pagina esterna. E così l'ho creata da un'altra parte.

2) Ho modificato il testo del banner di blogger, indicando che ci sono anche i cookie di terze parti e sostituendo il link all'informativa google con quello alla mia (che poi rimanda sia all'informativa google che a quelle facebook ecc). Si fa così:

Dal proprio pannello di controllo si clicca su "modello"
quindi su "Modifica HTML"


ed appare il codice html del blog.
A questo punto bisogna modificare il codice, con un minimo di attenzione. E' consigliabile copiare prima tutto il testo e salvarlo sul proprio pc per poter tornare indietro. Comunque c'è anche un pulsante per annullare le modifiche.


Nella figura si vede il punto in cui modificare. Prima del tag </head> bisogna inserire un tag <script> con le informazioni contenute qui, cioè msg (per modificare il messaggio) e link (per rimandare alla propria informativa).
Questo serve solo per blogger, che ha già un banner da modificare, su altri blog potrebbe non avere alcun effetto.
Certo, si può fare molto di meglio, ci vuole un po' di tempo e di inventiva. E comunque, come per ogni legge italiana, il cittadino non è mai in regola, non deve esserlo per poter essere sempre ricattabile.
Spero che questa legge venga abolita al più presto, vedere sta striscia ogni volta che si naviga sul web è una rottura immensa.
Chi vuole una mano per fare un lavoro del genere può contattarmi, sarò felice di aiutarvi.