lunedì 3 agosto 2015

L'acero, l'abete e l'ebano

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L'acero, l'abete e l'ebano sono i tre legni che servono per costruire un violino. Tre alberi completamente diversi, che crescono in zone diverse, che per aspetto e carattere non si assomigliano. E ognuno ha il suo ruolo.
L'abete, tenero e delicato, serve per la tavola armonica e vibra, riflettendo la vibrazione delle corde.
L'acero, più duro, ma sensibile alle vibrazioni, viene usato per la cassa armonica e per riccio e manico.
L'ebano, durissimo, pesante, nero. Per la tastiera e per tutte le parti della montatura, che devono essere resistenti.
E altrettanto eterogenea era la composizione degli studenti della scuola di liuteria.

Volevo tornare indietro, ma non sapevo come fare.
Fosse stato per me non avrei scelto una scuola superiore a 14 anni, me ne sarei andato a lavorare. A fare il muratore, il cameriere o qualunque altra cosa avessi trovato.
Non perché non mi piacesse studiare. Non perché non me la cavassi. Ero sempre tra i più bravi.
Volevo essere indipendente. A 12 anni avevo deciso che dei miei genitori ne avevo le scatole piene e che non volevo vederli più. E, a chiunque creda che questo è solo un momento di passaggio dell'adolescenza, rispondo che la cosa non è cambiata nei 30 anni successivi.

Non mi è stato permesso. A scuola dovevo andarci per forza. Avevo scelto ragioneria per esclusione, volevo lasciare a metà, ma nemmeno questo mi era stato concesso. E così mi sono vendicato buttando all'aria quei 5 anni. Non mi importava nulla di fare il ragioniere.
La scuola di liuteria mi dava l'opportunità di fare qualcosa di pratico. E poi qualche ragione più "terra terra" c'era.
Fino a 19 anni sono cresciuto con l'idea che trovare un lavoro è un miracolo. Oggi chi parla di crisi mi fa ridere. La situazione difficile che c'era già negli anni 80-90 al sud non si è mai vista né qui in Toscana e men che meno in Lombardia, nemmeno nel periodo più difficile dell'attuale crisi.
Mi sono fatto l'idea che con un lavoro autonomo avrei potuto salvarmi da questo.
E ancora c'era una ragione importante, quella che mi ha portato alla fine a questa scelta. Volevo portare alla mia città un servizio che non aveva.

Amavo Matera e volevo regalarle questo.

Ed ero convinto che avrebbe funzionato, che essendoci un conservatorio e non essendoci liutai, avrei avuto tutto il mercato per me. E che mi avrebbero accolto col tappeto rosso.
Fuori da ogni dubbio, lo dico ancora, volevo fare il liutaio per farlo a Matera. Era anche un modo per tornare indietro, a fare un lavoro manuale, cosa che non mi è stata permessa prima.

E così ho cominciato la scuola di liuteria. E ce l'ho messa tutta. Sono stati anni difficili. In un posto come Cremona, in un ambiente come quello dell'artigianato, un terrone resterà sempre un fastidio.
Discriminazione in un posto dove arrivano studenti da tutto il mondo è un'assurdo. Ma è così. O almeno lo era.
E' stato difficile. Invece di passare un bel periodo di divertimento, mi sono ritrovato "all'estero", completamente disadattato. Perché per me quello era ed è ancora oggi un paese straniero. Un'altra lingua, con il maestro di laboratorio che parlava solo in dialetto, anche capendo l'italiano, e che non mi ha mai dato una spiegazione, che non ha mai risposto a una mia domanda, e che mi ha messo contro molti compagni di scuola. Un'altra cultura, nulla in comune con quello che avevo vissuto finora.
Non me ne sono accorto per parecchio tempo, il razzismo che ho subito è stato subdolo. Mi aspettavo di essere insultato, anche picchiato, avevo paura di questo. Invece no, per quattro anni molti non mi hanno mai rivolto la parola e non capivo perché. E parliamo di una classe in cui c'erano tre italiani su trenta, gli altri venivano da tutto il mondo. Tedeschi, francesi, spagnoli, giapponesi, messicani, e tanti altri. Li sentivi dire che il sud è un posto pericoloso, che se ci vai rischi di prendere un colpo di pistola e cose simili.
Le uniche persone con cui ho fatto amicizia sono stati i vari latino-americani. Persone splendide, che non dimenticherò mai. Capaci di donarti tutto quel poco che hanno, di volerti bene in maniera disinteressata.
Ho vissuto per un po' di anni il contrasto tra la difficoltà di vivere in un posto in cui non volevo stare e l'apprendimento di un lavoro meraviglioso.
Perché lavorare il legno è qualcosa di stupendo. Quando impari vedi le tue mani incredulo e pensi "davvero le mie mani possono fare questo"?
Perché intanto le mie mani imparavano a fare questo.


Per alcuni periodi sono tornato a Matera. Per un primo periodo di psicoterapia (già non stavo benissimo, ma quegli anni mi hanno ridotto male male), poi per il servizio civile.
E lì qualcosa si è rotto.
Prima contavo i giorni per poter tornare a Matera al più presto, ad ogni occasione, a Natale, a Pasqua, l'estate.
Poi, in quei periodi, Matera ha smesso di essere la mia casa.
I miei amici, partiti per l'università per diverse destinazioni in Italia non sono più tornati. Erano partiti senza l'intenzione di tornare.
E quando passi dei lunghi periodi fuori, poi niente torna più come prima. Senti la differenza tra chi ha vissuto anche un po' fuori e chi è rimasto, vedi che nulla è cambiato e che nulla cambierà. E tutto ti sta sempre più stretto.

E non sono riuscito mai a inserirmi nel mercato. Mi aspettavo chissà che dal conservatorio, ma ho scoperto che i professori spesso impongono agli alunni di acquistare gli strumenti da chi dicono loro, cioè da chi passa loro delle buone tangenti. Mi sono sempre rifiutato di farlo e non ho mai venduto nulla.
Ho lavorato un bel po' con mio fratello, che intanto ha imparato a restaurare organi. E intanto ho cercato per anni di inserirmi come liutaio senza cedere mai al ricatto delle tangenti, senza ascoltare chi, qualunque prezzo facessi, mi chiedeva sempre di dimezzarlo. Senza cedere alla tentazione di comprare strumenti scadenti, di fabbrica, e riadattarli invece di fare io quello che potevo cercare di fare, al meglio. Non che io fossi bravissimo, ma non ho voluto adattarmi a fare il peggio per vendere a prezzi stracciati. O meglio, proponevo prezzi già bassi e mi aspettavo anche dei ringraziamenti, invece di un vergognoso mercanteggiamento da parte di gente senza scrupoli.

Ho lottato per 16 anni (compresi quelli di Cremona), con l'aiuto di mio fratello che mi ha dato lavoro per un bel po'. Finché a un certo punto anche a lui è venuto a mancare. Sfortunatamente proprio nello stesso periodo in cui è morto mio padre.
Non potevo più lottare per migliorare la mia città. Dovevo andare via e cercare di sopravvivere.

Ho lottato per 16 anni e ho perso. Non me ne pento. Ma a chi dice che bisogna restare per migliorare la propria terra dico questo: "ho lottato per 16 anni e ho perso". Non ho più nulla da rimproverarmi.

E, per rispondere a Silvia, che nello scorso post mi parlava di semina e raccolto, devo dire che ho seminato tanto, zappato anche, ma il raccolto è andato perso più volte. Se avessi tratto frutto da tutto quello che ho imparato finora, da tutto quello che ho studiato in tante occasioni, sarei ricco.

4 commenti :

  1. È un bellissimo post,amaro,ma molto bello!
    Posso chiederti se adessi lavori come liutaio? Sono sempre stata molto affascinata da queste professioni che trovo difficilissime,quindi tanta ammirazione,davvero!

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    Risposte
    1. Benvenuta NonPuòEssereVero.
      Adesso sto lavorando come programmatore, anche se non escludo (anzi mi piacerebbe) di rimettere un laboratorio in casa, almeno per hobby.

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    2. Sarebbe bellissimo,pensaci sul serio ;)

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  2. È un bellissimo post,amaro,ma molto bello!
    Posso chiederti se adessi lavori come liutaio? Sono sempre stata molto affascinata da queste professioni che trovo difficilissime,quindi tanta ammirazione,davvero!

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