domenica 21 febbraio 2016

Work-life balance

Questo è uno di due post che volevo scrivere da tanto tempo. L'altro, probabilmente, non ci sarà.
E' da più di un mese che non scrivo una riga. E in questo mese l'unico grosso cambiamento c'è stato sul lavoro.
Sono stato ricollocato a Firenze, proprio nel posto dov'ero qualche mese fa, ma con un incarico diverso, molto, molto, molto e ancora molto migliore.
Il ritorno è stato molto piacevole. Sono arrivato alle spalle di un mio collega e gli ho fatto
- pensavi davvero di poterti liberare così facilmente di me?
- che ci fai qui?
- sono tornato
(mi dà un abbraccio) accoglienza stupenda.
In poco tempo ho ritrovato il mio monitor, la sedia con l'etichetta col mio nome ancora attaccato, ho preso posto nella stessa isola di scrivanie, a due posti di distanza da dov'ero a giugno. Molto bello, non ci speravo, non ci avrei creduto qualche mese fa, ne avevo fatto una malattia del fatto di dover andare via di là.
E l'incarico che ho avuto, così come il gruppo di lavoro in cui sono stato assegnato, sono l'occasione che ho cercato in questi anni di cominciare a imparare.
Dopo diversi incarichi "parcheggio" in cui ho perso molto tempo, ora finalmente si comincia a fare sul serio. Lavoro insieme a un mio collega e ad altre due persone che mi stanno insegnando molto. C'è tanto da fare in poco tempo. Questo lavoro durerà fino a luglio, la scadenza è stretta e i ritmi sono serrati.
E questo è il momento in cui voglio parlare di work-life balance.

Immagine presa dal web
E' un equilibrio difficile. E non dovrebbe esserlo. Non ce n'è un vero motivo.
Qualche mese fa ho scritto che, cercando lavoro in America, ho scartato a priori le aziende che impongono ai dipendenti orari fuori dal normale. E sono stato messo in guardia da molte persone che mi hanno detto che negli Stati Uniti le 40 ore lavorative non sono la regola, ma l'eccezione, che essendo un mercato del lavoro competitivo e senza tutela del lavoratore, si fa a gara a chi produce di più.  

Queste informazioni mi hanno messo un po' in difficoltà. Contrastano molto con quello che avevo trovato in rete. Cercando tutti i pareri dei vari lavoratori sulle loro aziende avevo scoperto che ci sono le ditte in cui l'orario lavorativo è 9-5 e non si chiede di più, e quelle in cui si spreme il dipendente come un limone. Dopo quel giorno ho continuato a cercare insistentemente conferme e smentite, ho cercato di capire se questa situazione vale anche per il settore privilegiato dell'informatica.
Perché ogni mio ragionamento parte dal fatto che l'informatica, rispetto ad altri settori lavorativi, è privilegiato. Su questo aspetto vorrei approfondire, ma non voglio divagare.

Mi importa chiarire bene il mio punto di vista su questo argomento. Ho ben chiaro che a tutte le persone che mi hanno dato consigli e indicazioni farebbe piacere se io trovassi un lavoro da 40 ore, che hanno fatto il massimo per aiutarmi e non hanno cercato mai di tagliarmi le gambe. Mi preme dirlo perché purtroppo leggo spesso che chi vive all'estero e cerca di mostrare a chi vuole andarci le difficoltà così come sono viene poi accusato di voler ostacolare invece di aiutare.

La mia ricerca, un risultato chiaro non me l'ha dato. Da un lato, persone amiche e disinteressate che mi dicono che lì lavorano tutti come matti, che vivono per lavorare, che adorano carriera e soldi come divinità. Dall'altro, dipendenti di aziende di informatica, perfetti sconosciuti, che, in alcune aziende parlano di "long hours", in altre di orari 9-5 e niente straordinari. Partendo da un punto di vista del genere non mi sembra sbagliato l'approccio di scartare a priori ciò che non mi conviene e cercare l'occasione buona. Quello che era sbagliato, mi è stato fatto notare, era contarci e pensare di farcela in poco tempo. Ho accettato questo suggerimento ed ho agito di conseguenza.

Quello che però mi ha sorpreso è stato che molti dicessero che nemmeno in Italia facevano "solo" 40 ore.
Diciamolo chiaramente. Adesso sono in una situazione relativamente privilegiata. Mi ci sono messo da solo, me la sono cercata e trovata perché ne ho avuto bisogno. A partire dal giorno della mia laurea sono stato contattato continuamente da diverse aziende, almeno una alla settimana, che volevano propormi un colloquio di lavoro. Pur considerando che molte di queste offerte sono probabilmente farlocche e, nel migliore dei casi, meno buone del lavoro che ho adesso, so che se dovessi avere assolutamente bisogno di un lavoro, a costo di scendere a tanti compromessi "cado in piedi". So bene che in altri settori la situazione è molto più difficile e che l'informatica sta attraendo molte persone che hanno studiato altro o che prima facevano un altro lavoro, ME COMPRESO.

La mia posizione è diametralmente opposta rispetto a quella di chi vive per lavorare. Non so se conosco delle persone che amano la carriera più di ogni altra cosa. Anche perché quando una persona non mi piace non approfondisco la conoscenza, e gli stakanovisti non mi piacciono.

Io non ho mai considerato il lavoro come il centro della mia vita. Al contrario, sono più che convinto che il progresso tecnologico serva a farci lavorare sempre meno. Se oggi lavoriamo 40 ore alla settimana per produrre 10000 paia di scarpe, domani ne basteranno 30. Avremo prodotto ugualmente quello che ci serve, verremo pagati sempre di più e potremo avere gli stessi beni, con più tempo libero.
Trovo che questo sia applicabile ad ogni livello, che non sia necessario ammazzarsi di lavoro per fare carriera. Capisco che c'è chi ama il suo lavoro più di se stesso, ma trovo queste scelte incompatibili con il formare una famiglia. Poi, ognuno faccia come crede, io non avrei mai sposato una donna manager.
Il mio mondo ideale è questo. Ed è una battaglia persa. Oggi quello che succede è che se si produce di più chi se ne avvantaggia è solo chi è al vertice dell'azienda. Il lavoratore "comune" non riceve né una riduzione di orario, né una paga migliore. La disparità tra ricchi e poveri aumenta invece di diminuire, e questo è un assurdo. E il fatto che si possa produrre di più con costi minori porta disoccupazione invece di una migliore qualità di vita. Questo sistema sta collassando.
Spesso la disparità viene spacciata per meritocrazia, ma, al contrario, un sistema meritocratico prevede sì delle differenze, ma non abissali. Non è meritocratica un'azienda in cui l'amministratore delegato ha uno stipendio centinaia, migliaia di volte superiore a quello di un operaio.

Come dicevo, non sono stato sempre in una posizione privilegiata, ma me la sono sempre cercata. Per anni ho vissuto e lavorato senza mettere la sveglia, ma non ho mai guadagnato il necessario per vivere. Poi, quando è stato necessario, ho fatto le valigie e sono andato a lavorare in un'azienda lager.
Lì si facevano 9 ore al giorno, per 5 giorni a settimana, e tutte le ore venivano pagate. Si poteva restare di più a lavorare e anche lì tutto era pagato. L'azienda era un lager per altri motivi. Meno delle 45 ore non era concesso.
Mi sono trovato anche nella situazione terribile di sentirmi "imprigionato", di non avere il coraggio di chiedere di poter andare via nemmeno in una situazione di emergenza. Per poi accorgermi, pochi mesi dopo, che mentre io ero così sottomesso, qualcun altro aveva il coraggio di fregarsene altamente, di dire "sto andando via per questo motivo" e andare, invece di dover chiedere per favore e sentirselo eventualmente negare.
E' lì, e nell'esperienza lavorativa attuale, che ho capito due cose.
Una è che il work-life balance è un bene che va difeso. L'altra è che per ottenere bisogna pretendere. Inutile sperare e puntare sulla meritocrazia, lavorare a testa bassa sperando di essere premiati. Chi ottiene veramente le cose, chi viene premiato è chi, appena alza un dito, lo fa pesare come se avesse mosso una montagna.
Quando ho cercato lavoro, in un'occasione mi hanno detto che, quando necessario, c'era da fare qualcosa in più, quando i progetti sono in scadenza e bisogna consegnare. Ho detto che fare dello straordinario quando si è in situazione di emergenza è normale, ma lo straordinario non deve diventare cosa di tutti i giorni.
Per quel lavoro non mi hanno preso, non so se per questo o per qualche altro motivo.

Poco dopo io ho trovato lavoro dove sono ora ed ho formato diversi colleghi. Cosa abbastanza singolare, questi geni hanno scartato me e preso una ventina di miei alunni, senza saperlo.
Qualcuno di questi colleghi mi ha detto che lavora fino a tardi perché si pone l'obiettivo di finire quello che fa, senza che questo gli venga pagato. Uno di loro, che dirige gli altri, mi ha raccontato che appena un nuovo arrivato ha fatto per andarsene, dopo aver lavorato normalmente le sue 8 ore, gli ha detto "ah, mezza giornata oggi?". E il ragazzo, giovane e sottomesso "ma... devo fare di più?" e si è rimesso al lavoro. Ho sempre pensato che, se ci avesse provato con me, non ci sarebbe riuscito, io sarei andato via dicendogli "a' bello, il mio l'ho fatto, ciao ciao".

Dove lavoro ora, per due anni non ho ottenuto di poter entrare e uscire 10 minuti prima dal lavoro per poter prendere l'autobus. Il mio collega appena arrivato non l'ha mai chiesto. L'ha fatto e basta, senza chiedere nulla. L'ho fatto anche io, nessuno ha detto niente. Cazzo, finché l'ho chiesto è stato un no, poi quando l'ho fatto senza chiedere non ho trovato ostacoli? Quanto sono stato scemo a non capirlo prima qual era il modo giusto di fare!
Altro esempio, sempre nel mio lavoro attuale. Un mio collega è stato sovraccaricato e, per portare a termine il lavoro si è sobbarcato ore di straordinari gratis ogni giorno, a casa, senza chiedere nulla e senza farlo pesare. Quando è andato in ferie l'ho sostituito per una settimana. Sapevo di questa cosa e il primo giorno, da subito, ho fatto scoppiare la situazione. Il cliente si è lamentato e ho detto ai capi che non avrei potuto portare a termine il lavoro nel tempo richiesto. Mi hanno chiesto di completarlo a casa, offrendosi di pagare lo straordinario.

Ed eccoci al lavoro di oggi.
Normalmente sono fuori casa per lavoro 12 ore al giorno perché oltre alle 8 ore di lavoro e all'ora di pausa pranzo ce ne sono 3 di andata / ritorno casa-ufficio. Non me ne lamento, l'ho scelto io e finché studiavo quel tempo mi faceva comodo. Ma voglio dire che non è che io non sappia cosa significa fare giornate di lavoro lunghe. E' qualcosa che ho considerato, nel caso di un eventuale espatrio.
Prossimamente sarà necessario lavorare di più. C'è una scadenza da rispettare, molto importante, e l'azienda cliente è disposta a stanziare i soldi che servono per questo scopo. Il che vuol dire che probabilmente gli straordinari verranno pagati (finché non lo vedo non ci credo). Qualcuno aveva ben pensato di farmi venire a lavorare sabato dicendomelo venerdì. Mi sono opposto ("scusate, ma sabato ho già preso un impegno, devo andare a comprare un dinosauro").
In questa occasione a me sta bene ammazzarmi di lavoro per qualche mese, anche se sarà molto faticoso. Per alcuni motivi:
- se lo faccio, me lo pagano. Non è affatto scontato, anzi è raro, e a me qualche soldino in più serve.
- si tratta solo di qualche mese. Conoscendo l'ambiente so bene che non è la normalità lì dentro.
- questo è un lavoro in cui c'è molto da imparare. Non mi era mai capitato finora, in più di 4 anni ed è un'occasione che mi interessa cogliere fino in fondo.

Certo, avendo capito l'andazzo so che invece di mostrarmi disponibile e contento dovrò far pesare la cosa, altrimenti rischierò che mi si chieda sempre di più. Purtroppo, in queste piccole aziende dove non c'è un sindacato all'interno a difendere gli interessi del lavoratore, tocca sbrigarsela da soli. La differenza con le ditte come quella cliente, che hanno all'interno un sindacato, è abissale. Pretese notevolmente inferiori, paghe migliori, contratto integrativo con vari bonus. Qualcuna di queste cose me la sono conquistata lottando tanto finora. E una di queste è proprio il work-life balance.